domenica 14 ottobre 2012

"Il giorno di Marco" (Fantastory di Domenico Giansiracusa).

Marco si rialzò, di scatto. Gli sembrava strano sentirsi così bene, dopo lo scivolone sul marciapiede che gli aveva quasi fatto perdere i sensi. - Non ho fatto colazione stamattina - pensò. - Sempre con la mia solita fretta. E non ho neanche chiuso la finestra. - Imprecò, alzando gli occhi e notando la finestra spalancata al 4° piano. Fu però distratto dal motore della berlina nera, che gli passò così vicino che quasi lo investiva. L’autista continuò la sua corsa senza neanche guardarlo. – Caspita - pensò Marco - oggi non è proprio la mia giornata.- Sistemò il colletto della camicia e si avviò verso l’ingresso del palazzo, che era una ventina di metri più avanti. Prima di entrare, salutò la signora Berti, che non restituì il saluto; scendeva trafelata gli scalini, guardando in tutt’altra direzione. – Adesso ci si mette pure questo maledetto ascensore. Sicuramente è rimasto bloccato – Mentre tentava inutilmente di togliere la macchia di fango dalla camicia, superò turbato la prima rampa di scale, quasi volando. Non salutò neanche la giovane Marta, che scendeva assorta sul nuovo cellulare comprato da poco. Prima di arrivare sul pianerottolo del terzo piano, si irrigidì di colpo; appoggiò le spalle al muro nell’istintivo gesto di protezione e divenne un tutt’uno con la parete. Tremante, fissava il possente collo e i canini del boxer del signor Berardi, che con tutte le sue forze tratteneva il cane, che sembrava impazzito, mentre abbaiava e tentava di azzannarlo – Marco non riusciva a fiatare e per un attimo temette il peggio. Il signor Berardi riuscì a trascinare Ercole due scalini sotto. Marco, con il coraggio della paura, si ritrovò sul pianerottolo del quarto piano, davanti alla porta del suo appartamento. Non riusciva a capire se il fiatone era dovuto alla paura o a tutte quelle scale. – Vuoi vedere che adesso ho anche perso la chiave? – Tremante, non riusciva a trovare le tasche dei pantaloni. Gli sembrò che la porta fosse già aperta e si ritrovò nel corridoio di ingresso. Marco guardò con gli occhi sbarrati: - Elena…E.. El. eenaa. - Balbettava il nome della moglie, che lo rassicurò, col sorriso dolce che lui ben conosceva. Lo aveva lasciato da due mesi, un pomeriggio caldo d’estate; sembrava un semplice malore, invece non si era più svegliata. Non riusciva a darsi pace. Solo, con quel senso di vuoto dentro, che non lo abbandonava più. Tutte le notti, in quell’appartamento che ormai era diventato troppo grande e vuoto. La inquietudine di Marco si dissolse mentre seguiva la moglie lungo il corridoio e poi dentro la cucina. – Ma tutta questa gente, Elena, perché tutta questa gente? - Si fece spazio e si ritrovò davanti al finestrone. Era spalancato. Guardò giù. Elena era accanto a lui. Provava una piacevole sensazione. Sapere che Elena era accanto a lui, lo rassicurava. La signora Mariangela, piangendo, guardava insieme al marito, il corpo del povero vicino così immobile sull’asfalto. Non poteva vedere, però, da quell’altezza, la lieve increspatura sulle labbra, che il poliziotto chino su Marco, aveva già interpretato come un accenno di sorriso.

(Domenico Giansiracusa).

1 commento:

  1. Questa sembra una di quelle storie da brivido che si raccontano seduti al buio intorno al fuoco, magari con una torcia puntata sotto il mento. Mette davvero i brividi! È molto semplice e breve, eppure coinvolgente ed interessante. Davvero carina!

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